Il Pane in Casa:
Biga, Idrobiga, Sponge e perché no Poolish
(Aggiornato il 27/12/2024)

Biga, Idrobiga, Sponge e perché no Poolish

Il grande problema dei “prefermenti”, che poi non sono, propriamente detto, dei prefermenti ma al massimo dei preimpasti.
Ma in realtà cosa sono e a cosa servono?
Cosa sono è facile da dire, a cosa servono è invece un poco più complesso.
Incominciamo dalla parte semplice: i preimpasti sono impasti fatti prima di un impasto finale, lasciati fermentare in specifiche condizioni e aggiunti all’impasto finale per apportare particolari caratteristiche.
Caratteristiche che si possono riassumere in diverse combinazioni di due soli aspetti: una maggiore efficienza dell’azione dei lieviti e un maggiore apporto aromatico. Se il primo aspetto è abbastanza comprensibile, il secondo presenta maggiori complessità, per cui, al solito, parto dalla parte semplice.
L’attività dei lieviti, loro duplicazione in presenza di ossigeno, fermentazione alcolica anaerobica, e tutto il loro metabolismo che produce diversi metaboliti e di conseguenza una leggera acidità, precursori di molecole aromatiche, è certamente favorita da una maggiore idratazione, nonché da una temperatura mediamente elevata. Questo perché una maggiore idratazione favorisce la mobilità, non tanto dei lieviti, anche se un poco si muovono anche loro, ma sopratutto delle molecole di cui hanno bisogno: principalmente zuccheri per la fermentazione che produce energia, e poi amminoacidi per usare quell'energia e produrre le proteine necessarie al loro metabolismo. E questa è la ragione dello sviluppo, nelle fredde regioni polacche, di un preimpasto ben conosciuto: il poolish, che aiuta lo sviluppo dei lieviti grazie ad un ambiente molto più idratato di quanto potrebbe essere l’impasto finale. Questo aspetto è rimasto nelle nostre condizioni, e il poolish viene sviluppato variando quantità di lievito e tempi di fermentazione in funzione della temperatura in cui viene fatto fermentare. Rimane fissa la condizione di forte idratazione, tipicamente del 100%, ma se si usano farine forti e con alto assorbimento può anche essere abbastanza più alta, è abbastanza normale arrivare al 130%.
In queste condizioni diciamo che i lieviti hanno la vita facile, e il loro metabolismo è principalmente quello classico della fermentazione alcolica, che non favorisce una particolare acidità dell’impasto, anche se può facilmente succedere di lasciare sviluppare il poolish troppo a lungo e allora si avrebbe una maggiore acidità ma una riduzione dell’attività dei lieviti.
Perché ci preoccupiamo dell’acidità del preimpasto? Perché arriviamo al secondo aspetto considerato: la produzione di una maggiore aromaticità con l’uso dei preimpasti rispetto ad un diretto. La formazione di molecole aromatiche parte infatti dalla produzione da parte dei lieviti di alcuni acidi. Con il solo lievito di birra, come stiamo considerando ora, si ha una produzione sostanzialmente di acido succinico e di un poco di acido acetico da ossidazione dell’alcol etilico. Altre molecole aromatiche possono derivare da altri sottoprodotti del metabolismo dei lieviti.
L’attività dei lattobatteri, sicuramente presenti nella farina, che potrebbe produrre una grossa quantità di acido lattico e di acido acetico (come nella pasta madre) è molto limitata per la lentezza dello sviluppo dell’attività dei lattobatteri e per la concorrenza dei lieviti, che quando presenti in quantità monopolizzano di fatto l’acquisizione dei nutrienti. In certe particolari situazioni è però possibile anche una piccola contribuzione dei lattobatteri.
Riassumendo, possiamo dire che con alte idratazioni e alte temperature (26-30 ºC) si ha un veloce sviluppo dei lieviti e una loro forte attività fermentativa. Con basse idratazioni e basse temperature (non troppo basse perché se no si ferma tutto) si ha una lenta attività dei lieviti, con difficoltà di fermentazione, ma con un metabolismo pur sempre attivo e quindi, alla lunga, con produzione di molecole acide, precursori di molecole aromatiche nella lievitazione finale e nella cottura. L'acidità dell'impasto ha poi anche effetti diversi sul prodotto finale, sulla sua struttura e sulla sua shelf-life, la conservabilità, elementi che vanno tenuti in considerazione nella scelta del prefermento.

Quindi possiamo mettere il poolish ad una estremità dell’ampio spettro dei possibili prefermenti, quella della forte attività dei lieviti ma scarsa produzione aromatica.
All’altra estremità si può porre la biga, preimpasto tipicamente italiano, con bassa idratazione, bassa temperatura di gestione, e quindi più adatta allo sviluppo aromatico che ad una accelerazione dell’attività dei lieviti.
Una particolare versione della biga è stata codificata da Piergiorgio Giorilli, probabilmente il più famoso panettiere italiano dei nostri giorni. Giorilli aveva indicato come ottimale l’1% di lievito, un’idratazione tra il 45% e il 50%, con un mantenimento a 18 ºC per 16 - 20 ore.
È ovvio che questi non sono limiti assoluti, una piccola variazione di questi parametri non ha praticamente importanza, e anche variazioni più ampie portano a risultati sostanzialmente equivalenti, sapendo valutare gli effetti dei singoli parametri e compensando le differenze.
Quello che invece è per me stupefacente è che successivamente si è venuta a creare una specie di “religione” della “Biga Giorilli” che ha santificato dei parametri rigidissimi: lievito 1 %, idratazione 44%, temperatura 18 ºC e 20 ore di maturazione. Qualunque cosa diversa non è considerata Biga, o perlomeno non Biga Giorilli.
È un aspetto della logica di gregge che si è evidenziato anche per altre cosiddette “ricette”, come per l’autolisi con l’acqua al 55%, in cui una indicazione di buon senso (anche se intrinsecamente sbagliata), è diventata una regola assoluta.
Tra poolish e biga si pongono poi un gran numero di ricette di prefermenti diversi. Purtroppo praticamente nessuno dei proponenti di queste ricette si pone il problema di cosa esattamente ottengono con il loro prefermenti. Basta che “funzionino”, e quindi per la maggior parte si tratta di una maggiore efficienza dei lieviti.
Nella gran parte di questi prefermenti interviene un nuovo elemento che complica non di poco la loro comprensione: l’uso del frigo.
L’uso del frigo è un elemento moderno, ovviamente, e se semplifica molto le tempistiche di certe operazioni, pone prepotentemente una ulteriore variabile con diverse diramazioni. Ho esposto alcuni di questi problemi in un precedente articolo:
Il frigo non agisce in modo lineare su tutti i parametri dell’impasto, e il suo differente effetto dipende anche, in modo direi molto evidente, anche dalla dimensione dell’impasto stesso.
Quindi quando si introduce l’azione del frigo nello sviluppo di un preimpasto bisogna valutare un discreto numero di altre variabili, che devono essere considerate caso per caso.
E quindi?
Quindi bisogna valutare ogni possibile preimpasto per tutte le possibili variabili che abbiamo visto, e ne consegue che è quasi impossibile.
Rimaniamo quindi a basarci su alcuni aspetti diciamo essenziali: maggiore idratazione attiva l’attività dei lieviti. bassa idratazione ne limita l’attività (ma va valutata anche la quantità immessa). Bassa temperatura blocca l’attività, ma in modo non lineare, e il frigo introduce ulteriori variabili molto complesse, alta temperatura favorisce l’attività dei lieviti. Ci può poi essere anche l’aggiunta del sale, come nello Sponge di Kosta, che rallenta la fermentazione in presenza di una idratazione abbastanza più elevata di quella della biga.
E ancora: e quindi?
Quindi bisogna aver chiaro cosa si vuole ottenere come soluzione finale, ogni preimpasto ha le sue caratteristiche. Ognuno, ma davvero ognuno, ha una sua legittimità, basta saper bene le conseguenze di ogni operazione fatta. Un poco di sviluppo a temperatura ambiente, seguita da un periodo in frigo, è un ibrido di cui è onestamente difficile valutare a priori il risultato finale, ma ha una sua logica, tenendo conto però di un enorme numero di variabili: l’effettiva temperatura del frigo, l’isolamento dell’impasto, la sua quantità.
Per questo sono utili certe “certificazioni”, certe “ricette” in cui sono stati messi a punto alcuni dei parametri e si garantiscono i risultati, e di cui gli autori ne cercano il riconoscimento dando un nome specifico alla ricetta stessa.
Riassumendo: non esiste una singola regola per i preimpasti, ma esistono delle leggi di natura che ne guidano il comportamento. Ognuno può usare il preimpasto che preferisce, basta che sappia valutare le conseguenze del suo preimpasto nel suo impasto finale e sappia cosa vuole ottenere: maggiore attività dei lieviti e/o maggiore sviluppo aromatico, o un misto dei due. Non si scappa da queste due possibilità… Ma non si può ottenere entrambe le cose al loro massimo contemporaneamente.

 
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Come preparare la Pasta Madre in Forma Liquida
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La Cottura del Pane
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Una Storia di Zuccheri, Malto Diastasico, Miele etc
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